Il territorio di Sorradile, così come la media valle del Tirso e i territori limitrofi offrono numerose testimonianze del passaggio dell'uomo in questo luogo: i reperti del periodo prenuragico e nuragico mostrano come questa zona della Sardegna si trovasse in un'area di transizione, investita da due direttrici di diffusione della cultura nuragica: la direttrice nord - sud, Bonorva, Macomer, Fordongianus, e la direttrice ovest - est, Oristano, Paulilatino, Aidomaggiore. Oltre ad una regione di transizione fu anche un luogo di incontro e di scontro fra le popolazioni dell'interno, a prevalente economia pastorale, e quella a valle, a prevalente economia agricola. Le antichità del territorio di Sorradile sono già note nel 1935 quando Antonio Taramelli elaborava "le carte archeologiche della Sardegna".
Ma le ricognizioni più recenti si devono a G. Bacco nell'ambito delle indagini territoriali sulle aree ricadenti nel progetto di ampliamento dell'invaso sul Tirso. Per l'età prenuragica sono segnalate le "domus de janas" di S. Nicola mentre per l'età nuragica si hanno testimonianze sparse un po' ovunque sul territorio con la presenza dei nuraghi. Molti di questi siti saranno rifrequentati nel periodo tardo - romano e altomedievale. Anche l'epoca Fenicio - Punica lascia la sua impronta in questo territorio di confine. Secondo alcune fonti, i Punici riuscirono ad imporre il loro assedio anche nel Barigadu come dimostrano i reperti delle fortezze fenicie rinvenute a Casteddu Ecciu, vicino a Fordongianus, a Talasai, presso Sedilo, e a Monte Santa Vittoria in territorio di Neoneli, esattamente nelle stesse località in cui precedentemente si insediarono le roccaforti fenicie.
Il ruolo importante di "cerniera" svolto da questo territorio, tra pianura e montagna, si accentuerà in epoca romana e successivamente in quella giudicale. Durante la dominazione romana, in tutto l'Alto Oristanese, si intensificò la coltivazione del grano, in quanto l'area, come tutte le zone vallive particolarmente fertili, furono sfruttate per la coltivazione cerealicola. Questo sfruttamento, però, non fu sempre sicuro e pacifico per gli attacchi improvvisi delle tribù dell'interno che lo resero instabile, sempre esposto alle loro minacce. Fu proprio nel Barigadu che si collocò il "limes" romano, cioè il baluardo fortificato tra la "Barbarìa", definita dai romani la terra in cui avevano sede queste tribù, in contrapposizione alla "Romania", la terra interamente romanizzata.
In questo quadro si spiegano alcune fondazioni di centri abitati come Ad Medias, Abbasanta, e Forum Traiani, Fordongianus, fondata nel II sec. A.C. con il duplice scopo di difendere i centri dell'Oristanese e di sfruttare, per usi terapeutici, le acque termali del Tirso. Successivamente, in epoca bizantina, il territorio del Barigadu assume un ruolo importante come è possibile dedurre dalla presenza delle numerose chiese campestri intitolate a santi bizantini e ai toponimi che individuano certe località. Nel territorio di Sorradile si possono individuare alcuni di questi nomi quali "Santu Cristus", "Salto di Lochele" ( lòcalos = cicogna), od ancora dalla chiesa campestre di San Nicola, dotata di corpo di fabbrica seriore ( "muristene"), antica parrocchiale dell'abitato di Nurozo. La presenza di questi appellativi e quella dei "muristenes" , confermano la permanenza sul territorio dei monaci greco - bizantini che praticavano la "Regola di San Basilio" al contrario dei monaci occidentali, che proprio nel 529 seguivano a Montecassino la regola di San Benedetto da Norcia, basata prevalentemente sul principio comunitario attivo dell' "ora et labora" (prega e lavora). La "Regola di San Basilio", prevedeva che la vita dei monaci fosse a contatto delle popolazioni e quindi si basava su una vita sociale attiva, con la realizzazione di chiesette, spesso localizzate su luoghi di antico culto pagano, dotate di "muristenes" o "cumbessias" (celle dei conversi).
Questi monasteri erano affiancati da vaste terre che permettevano ai monaci di avere un certo reddito basato sull'allevamento e l'agricoltura. Ma il loro ruolo più importante era il controllo delle terre di proprietà ecclesiastica. Infatti nella valle del Tirso e nel Barigadu, quasi tutte le chiese campestri occupano posizioni di rilievo che permettono di spaziare su tutta la valle e di potere, in qualche modo, prevedere l'attacco di possibili nemici; in realtà è come se occupassero il luogo ideale riservato a posti di avanguardia. E' in epoca medievale, precisamente durante il Giudicato di Arborea, che le notizie storiche sull'abitato di Sorradile (Soradilli XIII sec.) iniziano a trapelare in maniera più consistente. In epoca giudicale il territorio sardo era organizzato amministrativamente in distretti detti "curatorie" o "partes" ognuno dei quali era costituito da un determinato numero di "villae" o paesi, in modo da ottenere una popolazione press'a poco uguale in ciascuna curatoria. Fra l'XI e il XIV sec. il territorio storico dell'Arborea era diviso in 13 "curatorie" che comprendevano 223 "ville" molte delle quali oggi scomparse. Nella parte settentrionale del Giudicato, confinante con il Giudicato di Torres, si trovava la "curatoria" del Guilcier e più a sud quella del Barigadu.
La "villa" di Sorradile, al contrario di quello chi si potrebbe pensare, apparteneva alla "curatoria" del Guilcier. Solo successivamente, probabilmente in seguito alla epidemia di peste avvenuta tra il 1348 - 49, che le ville di Sorradile, Nughedu Santa Vittoria e Bidoni, videro annettere i propri territori alla "curatoria" del Barigadu. Questo fatto può essere giustificato se si considera che l'organizzazione di ogni "curatoria" prevedeva una popolazione più o meno uguale. Infatti le "curatorie" più piccole erano quelle più densamente abitate mentre quelle più grandi erano spopolate e dovevano abbracciare tanti villaggi o "fuochi" fino a raggiungere un numero di abitanti pari a quello delle altre "curatorie". Quindi la mappa interna del territorio statale veniva ridisegnata ogni qual volta si manifestava incremento o regresso demografico. Questo spiega come il territorio del Guìlcier fosse meno popoloso con 26 "ville" mentre parte Barigadu ne comprendeva 19. Le fonti storiche confermano che il numero di villaggi scomparsi in parte Barigadu fosse maggiore di quello della "curatoria" del Guilcier e quindi probabilmente si manifestò la necessita di ridimensionare la "curatoria" con l'annessione di altri fuochi. Un altro fattore da sottolineare è l'importanza di questi due territori nella funzione di difesa del Giudicato, trovandosi in area di confine. Infatti il loro potenziamento è accertato con la collocazione, da parte del Giudice di Arborea, di quattro castelli dislocati ai confini del Giudicato di Torres e della Barbagia di Ollolai.
Queste fortezze si trovavano a Norbello, castello di Seria, a Ghilarza, nella torre prearagonese, a Neoneli, castello di Orisetto, e a Sorradile, castello di Brogariu o Barigadu. In riferimento al castello di Sorradile, le fonti narrano che: "nel 1420 la torre, attualmente nota come la torre di Brogariu... in regione Barigadu (a guardia del guado) era già disabitata. Innalzata all'estremità del pianoro che sovrasta il Tirso e l'abitato di Sorradile, in età medievale era nota come la "Torre di Monte Santo", probabilmente a motivo delle rovine della chiesa di Santa Vittoria. Una lettera del Giudice Mariano IV d'Arborea al re d'Aragona Pietro IV, datata 17 luglio 1356 (7), porta come DATATIO TOPICO Monte Santo. Sono gli anni in cui la lacerazione arborense diventa più sensibile e irreparabile. Dunque Mariano scrive dal villaggio o dal castello?... Il Fara, però, che scrive nel Cinquecento, non parla affatto nè di un centro nè di un castello di Monte Santo, segno che a quest'epoca centro abitato e castello sono stati distrutti, o probabilmente, abbandonati o scaduti d'importanza."
Il periodo giudicale fu importante anche per la realizzazione di nuovi complessi ecclesiastici come dimostra il numero consistente di chiese romaniche sparse un po' ovunque in tutto il territorio sardo. Nella media valle del Tirso sono da ascrivere a questo periodo numerose chiese tra le quali una delle più imponenti è la chiesa di San Pietro di Zuri. L'applicazione del tipo architettonico arborense a navata unica si verifica in due chiese comprese nell'orbita di gravitazione che ha per polo il monastero di Bonarcado e ubicate nelle zone di altopiano. Nel Condaghe di S. Maria di Bonarcado è nominata la "domo" di San Pietro a Bidoni affiliata all'abbazia, con atto di donazione del 1100 circa e l'altra è la chiesa di san Nicola che raccoglieva il paese di Nurozo. La grande coerenza interna nella realizzazione di queste due chiese, con conci regolari di trachite, potrebbe far pensare che gli artefici furono le stesse maestranze che realizzarono la chiesa di S. Maria di Bonarcado. In base a queste notizie storiche non è da escludere che le stesse maestranze abbiano potuto realizzare, nel territorio del Barigadu, altre chiese di cui oggi, purtroppo non si hanno testimonianza storiche certe come l'antica parrocchiale di Sorradile, fatta risalire al Xl -XII sec. di cui rimangono alcune tracce nell'attuale presbiterio e sagrestia della chiesa di San Sebastiano, completamente ricostruita nella prima metà del Seicento.
Alcuni elementi decorativi interni ed esterni alla chiesa, quali le protome zoomorfe, la base ottagonale del battistero ed altri elementi decorativi, potrebbero avvalorare questa ipotesi. Durante il XV secolo vicende storiche, politiche e belliche si succedettero molteplici ed incalzanti nel regno di "Sardegna e Corsica". La convenzione di San Martino, firmata in Oristano nel marzo del 1410, rappresenta una svolta storica importante per l'assetto politico e territoriale dell'isola. Con tale atto gli ampi territori del Giudicato d'Arborea passavano alla Corona d'Aragona rendendola così padrona di quasi tutta l'isola. La "curatoria" di Barigadu e quella del Guilcier divennero già in possesso degli aragonesi alla fine del Trecento, prima ancora della totale scomparsa del Giudicato. Infatti nel 1416, Don Alfonso V d'Aragona concedeva al gentiluomo sardo Valore Deligia, prossimo congiunto di Ugone IV d'Arborea, in premio per i suoi servizi, le regioni del Cier ( Guilcier) e del Barigadu. Inoltre il Deligia in quell'anno aveva già ricevuto il giuramento di vassallaggio da parte delle due "curatorie". In seguito le due parti passarono ai marchesi D. Antonio e D. Salvatore Cubello di Oristano. Alla morte dei due marchesi, che non lasciarono eredi, non si hanno notizie se le due "curatorie" tornarono definitivamente nelle mani degli aragonesi ma si ha motivo di credere che questo sia stato possibile in quanto nella carta di Ferdinando il Cattolico si legge che le "ville" di queste "curatorie" chiesero al re di rimanere sotto la Corona e di non essere assoggettate a nessun altro signore. In questo periodo si rafforzano alcuni centri ed il controllo sul territorio fu esercitato grazie al potenziamento dei villaggi agricoli, della ristrutturazione e della realizzazione di nuove chiese campestri, che testimoniano il controllo del territorio da parte di un clero catalano.
Nel 1479 si realizzò l'unione dei due più importanti regni iberici: Aragona e Catalogna. Il dominio spagnolo si consolidava in una situazione aggravata per fenomeni di decadenza generale, per la miseria assai diffusa, per il continuo abbandono delle campagne da parte di molte famiglie. Con gli spagnoli si rafforza il dominio coloniale: la società sarda viene completamente separata da quella del dominatore. Sì rafforza il processo di feudalizzazione tendente a cancellare le espressioni pisane, genovesi e anche catalane. Vengono trasformate tipologicamente ed architettonicamente le chiese, massima espressione del potere spagnolo legato alla Chiesa. Inoltre si aggravarono le condizioni di vita nel territorio rurale in seguito a fenomeni di brigantaggio. A tutto ciò si aggiungevano altri elementi negativi come l'aumento della criminalità e i danni causati periodicamente dagli straripamenti del Tirso sia in città che in campagna; questi fenomeni contribuirono allo sviluppo di alcuni nuclei urbani, tra i quali è possibile individuare anche l'importanza che assunse Sorradile tra i paesi del Barigadu.
Questo fatto può essere spiegato con la realizzazione, nel 1636, della attuale chiesa parrocchiale di San Sebastiano realizzata inglobando l'antico impianto romanico. L'imponenza della fabbrica, rispetto all'entità attuale del paese, la ricchezza degli elementi decorativi lignei interni e di quelli che compongono la facciata, fanno pensare che l'abitato avesse assunto una certa importanza sul territorio diventando probabilmente un centro di scambio con i villaggi limitrofi. Nella seconda metà del XVII secolo le condizioni di vita delle popolazioni peggiorarono in seguito alle lotte tra le fazioni che dividevano i nobili. La guerra di Successione spagnola portò nel 1708 l'occupazione dell'isola da parte degli Austriaci. Nel 1718 fu firmato il Trattato di Londra che stabiliva la cessione della Sardegna a Vittorio Amedeo Il di Savoia in cambio della Sicilia ceduta all'Austria. Nel periodo sabaudo la Sardegna subisce un vasto processo di destrutturizzazione degli assetti politici precedenti. Decade l'autorità della Chiesa che viene sottoposta a quella del Regno, a cui vengono trasferiti i privilegi, le terre feudali e quelle del demanio ecclesiastico furono ripartite tra privati e comuni. Inoltre si verifica un ripopolamento delle campagne che erano state abbandonate in epoca precedente. Il regno sabaudo introdusse diverse modifiche che cambiarono l'assetto del territorio e la vita della popolazione. La prima di queste, in seguito alla situazione agraria estremamente precaria in cui si trovò l'isola dopo l'occupazione spagnola, fu l'editto delle chiudende" emanato nella sua forma definitiva nel 1820. Questa ordinanza incideva solo su una piccola parte delle terre e soprattutto non toccava le terre comuni come il Salto di Lochele, appartenente ai comuni di Sedilo e Sorradile.
Da una sentenza del Tribunale della R. lntendenza Generale in data 4/10/1798 con la quale si dichiarava devoluto il feudo Barigadu - Susu del marchese di Villa - Sor, si ha un esempio interessante di come gli abitanti di Sorradile potevano usufruire del Salto. Per la villa di Sorradile si legge: "Sono gli abitanti di questa villa dell'immemorabile possesso di servirsi della legna da fuoco sebbene mai sogliono tagliare alberi da ghianda ne d'altro frutto, senza dimandar permesso ne pagar perciò cosa alcuna al Barone... La seconda grande iniziativa del Regno sabaudo fu sancita nel dicembre del 1835 con la fine del feudalesimo. Il trasferimento delle terre ai privati, pur con l'abolizione dei feudi, creò una proprietà latifondista. Nasce una figura sociale nuova, la cui residenza è costituita dal palazzo urbano. Si modifica l'immagine dei centri urbani: alle emergenze monumentali, espressione del potere ecclesiastico, si affianca l'edilizia pubblica del potere civile e quella residenziale dei latifondisti agrari. Altra grande modifica che si verificò in Sardegna fu la realizzazione della strada statale "Carlo Felice" che avrebbe messo in comunicazione Cagliari e Sassari. Infine nel 1848, dopo una formale richiesta di unificazione con te altre provincie del continente, lo Statuto Albertino veniva esteso alla Sardegna che con ciò si univa al Piemonte seguendone le varie vicende che portarono all'unificazione d'Italia. La vita della popolazione nei territori del Barigadu non subì grandi cambiamenti se non fino alla realizzazione del bacino artificiale dell'Omodeo nel 1923, il più grande d'Europa, che ebbe come conseguenza la sottrazione delle terre più fertili all'agricoltura e quindi l'impoverimento dell'economia locale. Inoltre come è stato detto precedentemente, le condizioni ambientali sono mutate creando delle alterazioni nell'equilibrio ambientale nonostante la bellezza indiscussa del paesaggio che oggi osserviamo.
Testi a cura di Arch. Maria Rosaria Manca tratti da "Villaggi abbandonati in Sardegna dal Trecento al Settecento: inventario", John Day, 1973. "Castelli della Sardegna medievale", Foiso Fois, 1992, pag. 121. " note di vita civile ed ecclesiastica", Michele Licheri, 1977. "carta della Montagna", Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, Vol. II, Monografie regionali- Sardegna,1976, pagg.165 - 166.